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Letteratura, fumetto e cinema: un triangolo indistruttibile

di Stefano Bidetti

C’era una volta il fumetto. I giovani non leggono più il fumetto. Il fumetto ormai è in crisi. Finita questa generazione, nessuno leggerà più una storia a fumetti.
Quante volte stiamo sentendo negli ultimi tempi questo tipo di affermazioni! Noi appassionati ne soffriamo, però è un dato di fatto che alcuni eventi recenti, dedicati solo ai comics, stanno battendo la fiacca, come se appunto la bande dessinée non riuscisse più, autonomamente, a rappresentare un richiamo sufficiente. Se i bambini, e poi i ragazzi, non leggono più le storie a fumetti – si dice – dipende dall’esplosione di altri media più coinvolgenti, più accattivanti e di più semplice utilizzo. Come se il fumetto in quanto strumento espressivo avesse ormai fatto il suo tempo, superato velocemente da qualcos’altro. D’altro canto è anche vero che di crisi del fumetto si parla da almeno 30-40 anni e che, se le prime cassandre avessero avuto ragione, oggi lo avremmo già dimenticato, così come già nessuno di noi in pratica ricorda più le musicassette o il tubo catodico.
Nel corso della storia tante modalità espressive sono scomparse, vuoi per oggettiva obsolescenza, vuoi per dispendiosità dei costi di realizzazione, vuoi per incapacità di assolvere al compito che alla specifica modalità veniva affidato. Può venire in mente, ad esempio, la raffigurazione attraverso il mosaico, che è caduta in disuso forse per tutti i motivi sopra elencati; oppure l’affresco. Ma questi tipi di espressione, e altri esempi che potrebbero venire in mente, sono stati probabilmente sostituiti da altre forme successive, e magari di più semplice padronanza, che però hanno conservato le peculiarità originarie e, soprattutto, la componente artistica che ne stava alla base. Erano sostanzialmente delle tecniche, sia pure con connotazioni artistiche specifiche, che interpretavano un’arte più complessiva costituita dalla raffigurazione di persone, fatti, contesti o emozioni da trasmettere in qualche modo ai contemporanei.
Il fumetto invece, secondo me, non ha una modalità realmente alternativa al proprio modo di essere e di trasmettere il proprio contenuto. Spesso viene confuso col cinema, oppure con la letteratura, innescando forzati e inopportuni paragoni circa la maggiore o minore essenza di arte e capacità di catturare, e quindi coinvolgere tenendoli avvinti, i fruitori contemporanei. Eppure, il fumetto ha requisiti e caratteristiche specifici, a mio parere insostituibili e, se posso osare, immortali. In realtà, infatti, ci sono elementi che non possono essere confusi. Il cinema, ad esempio, che di certo ha un potere di attrazione e di “inchiodamento” alla sedia molto più intenso, non può essere fruito con la libertà, e con la fantasia, che il fumetto consente. Una storia disegnata vive del testo che si legge e delle immagini che lo illustrano, ma la prassi di lettura è individualmente specifica per ciascun lettore. Consente, come forse solo la letteratura, di accelerare o aumentare il ritmo della lettura, di avere le giuste pause di riflessione, di rileggere un passaggio o riguardare una vignetta, di assaporare tutti i particolari di un’illustrazione prima di proseguire, di tornare decine di pagine indietro per vedere come un certo personaggio era entrato in scena all’inizio della storia, per confrontare il modo di rappresentare due situazioni magari simili, ma ognuna delle quali ha richiesto all’autore un’applicazione specifica. Al tempo stesso, come un film consente di mettere insieme storia e illustrazione, testo e immagini, in modo da trasferire al lettore un insieme di informazioni, cui forse manca soltanto la colonna sonora; ma nessuno impedisce di metter su della musica mentre si legge un fumetto!
In sostanza, stiamo parlando di tre arti distinte, ognuna delle quali ha pescato e pesca continuamente dall’altra, ma nessuna delle quali ha il diritto – e a mio parere la reale capacità – di soppiantarne un’altra. Come commentava recentemente il mio amico Sergio Tisselli durante una chiacchierata, si tratta di una sorta di triangolo in cui non si può eliminare un lato, o uno degli angoli. Pertanto, può anche darsi che il fumetto, in quanto più impegnativo, rischi – come d’altronde la letteratura - di perdere aficionados, ma ciò non toglie che nessuno potrebbe mai sostenere, secondo me, che si tratti di un’arte destinata a morire definitivamente. Quello che potrebbe succedere è che la forma cartacea del fumetto sia sostituita da unformato elettronico, che le storie diventino leggibili solo su un computer; perché la carta diventa troppo costosa; perché stampa e distribuzione a loro volta sono dispendiose, portando le case editrici a fare questo tipo di scelte. Su questo discorso si potrebbero innescare tante altre considerazioni che concernono il fascino del cartaceo, il suo odore, la più piacevole modalità di fruizione, ma si tratta di considerazioni magari soggettive, o che rischiano di apparire troppo fortemente velate di nostalgia personale. Ma che si possa pensare che una modalità espressiva che si potrebbe far risalire, almeno nelle sue intenzioni originarie, a tempi antichissimi possa considerarsi obsoleta per l’essere umano è pura follia.
Forse qualcuno pensa che io stia esagerando. Ebbene, provate a leggere il passaggio successivo, tratto dal blog di una professoressa di lettere (http://ehmaprof.blogspot.it):
“Negli affreschi della basilica Inferiore di San Clemente (XII secolo) sono raffigurati alcuni miracoli attribuiti al santo.(…) La parte dell’affresco che ci interessa rappresenta il patrizio Sisinnio nell’atto di ordinare ai suoi servi (Gosmario, Albertello e Carboncello) di legare e trascinare san Clemente il quale, nel frattempo, si è trasformato in una colonna di marmo. Si leggono, a mo’ di fumetto, queste espressioni (la cui attribuzione ai singoli personaggi è fortemente discussa). Questa è la proposta più condivisa:
Sisinium: «Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falitedereto co lo palo, Carvoncelle!»
San Clemente: «Duritiamcordisvestris, saxatraeremeruistis».
Traduzione:Sisinnio: «Figli di puttana, tirate! Gosmario, Albertello, tirate! Carvoncello, spingi da dietro con il palo»
Clemente: «A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi».

Ora, nell’esempio fatto non solo abbiamo uno dei primi esempi scritti di utilizzo del volgare, o meglio di un misto di latino e volgare, ma appunto una delle prime testimonianze di come il fumetto, cioè il collegamento di immagini e dialoghi, possa assolvere al compito di raccontare una storia. E forse non è un caso che in quell’occasione si pensò di utilizzare il volgare, proprio perché il messaggio doveva poter essere letto da tutti, anche da coloro che, sapendo quanto meno leggere, non erano più tanto in grado di comprendere un latino colto come poteva essere quello ecclesiastico.
E forse, volendo strafare, potremmo azzardare di dire che già gli egiziani avevano fatto ricorso a un metodo simile, allorquando i loro monumenti erano stati decorati con immagini disegnate, e splendidamente colorate, accompagnate da testi esplicativi.
A questo punto si potrebbe citare una definizione che ho trovato sul sito www.lacomunicazione.it alla voce “fumetto”: “Gli antecedenti culturali del linguaggio fumettistico possono rintracciarsi in tutta la storia della pittura in Oriente e in Occidente: dai geroglifici egizi alla decorazione vascolare greca, dalle miniature persiane ai cicli d’affreschi nel tardo Medio Evo o nel Rinascimento, sono frequentissimi gli esempi di integrazione fra disegno e scrittura, fra immagine e parola, dove insomma un racconto è sviluppato attraverso una serie di ‘quadri’ in successione con il corredo di didascalie o di frasi e parole che fuoriescono dalla bocca di figure e personaggi.”
Ma lasciamo agli studiosi il compito di fare la storia del fumetto nel corso dei secoli.Quanto detto sta secondo me a dire che di fatto non esiste un altro medium, per quanto evoluto e supportato dalla tecnologia, che possa surrogare quel desiderio che sin da bambino porta l’uomo a voler disegnare le cose e poi a far interagire quei disegni con dialoghi e didascalie in grado di trasformare una fantasia in avventura. I moderni cellulari e tablet, ad esempio, hanno avvicinato il cinema agli utenti, svuotando le sale cinematografiche e consentendo di guardare un film sul proprio mini-schermo personale. Tralascio altre considerazioni su quanto quelle visioni uccidono la bravura degli autori a creare prodotti che solo lo schermo grande consente di valorizzare, o quanto ci sia di asociale in quel tipo di solipstistica fruizione delle pellicole. Sta di fatto che queste possibilità hanno forse alimentato la sensazione che il cinema possa essere più friendly rispetto al fumetto e che, insieme ai videogiochi, sia quanto basta (un buon libro purtroppo è stato abbandonato già da troppi soggetti, adulti e bambini!) per far viaggiare la propria fantasia, per vivere avventure e volare con l’immaginazione. Io credo che non sia così, che smontare il triangolo di cui si parlava all’inizio non sia realmente possibile. Poi l’abbrutimento di una civiltà (in realtà evidenziato da cose ben più gravi di quanto sto raccontando) può portare a qualunque rinuncia, alla cancellazione di qualunque cosa, in nome di non si sa quale progresso o percorso si riesca a immaginare, ma il fumetto non morirà mai. Fino a quando ci sarà un bambino che, seduto magari a terra nella sua stanza, si divertirà a disegnare un drago (o un’astronave, cambia poco) e poi a raccontarsi ad alta voce la storia di quello che ha disegnato, fino a quando ci sarà quel bambino che avrà la voglia di raccontare o sentirsi raccontare una storia, ci sarà sempre un fumetto già nato con lui, e che lo accompagnerà…


postato il 4/9/2017 alle ore 16:44

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