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A che serve il <em>flashback</em>?

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A che serve il flashback?

di Stefano Bidetti

Perché il flashback funziona? Perché in qualche maniera va a incidere sulla curiosità del lettore, o dello spettatore, per il quale, di fronte a una situazione, a un contesto o a un personaggio, soprattutto se particolarmente travagliato, diventa abbastanza automatico chiedersi cosa ci sia dietro, che cosa sia successo, a cosa sia dovuto lo stato delle cose cui si assiste. Quindi si potrebbe dire che il flashback corrisponde a una domanda implicita del lettore o dello spettatore e per questo, se fatto intervenire al momento giusto, cioè appunto quando l’interrogativo è arrivato al massimo livello di curiosità, per cui il lettore o spettatore ha voglia e bisogno di sapere, a quel punto esso si colloca in maniera opportuna.
Il termine italiano per rendere il concetto è analessi, un procedimento narrativo che riavvolge il nastro cronologico degli eventi raccontando avvenimenti che precedono il punto raggiunto dalla storia. La parola deriva dal greco anàlepsis, che significa ripresa, e da analambànein, cioè sollevare. L’insieme di queste traduzione lascia comprendere come abbia contemporaneamente il senso di recuperare qualcosa e di sospendere il momento del racconto. L’analessi è stata utilizzata fin dagli albori della letteratura occidentale: basti pensare all’Odissea, buona parte della quale consiste nel racconto da parte di Ulisse delle sue disavventure. Si tratta di uno strumento quindi mutuato dalla letteratura, che però forse soprattutto il cinema ha usato - e anche abusato – fino a farlo diventare un elemento quasi immancabile di una qualsiasi pellicola. Il fumetto, in quanto meraviglioso mondo e modo del racconto, non poteva non appropriarsene. Peraltro, la maneggevolezza di una sceneggiatura – naturalmente in mani sapienti –consente il migliore sfruttamento di attrezzi di lavoro come questi.
Naturalmente il flashback, che sia un racconto nel racconto, un ricordo del protagonista o l’improvviso e traumatico impatto con il passato, non deve essere troppo lungo perché deve poi riportare alla situazione attuale; esso deve fornire gli strumenti conoscitivi per comprendere la situazione per poi consentire al lettore di proseguire il suo viaggio, una volta dotatosi del bagaglio culturale giusto. Ragionando per grandi linee e senza alcuna pretesa di scientificità, forse potremmo dire che i modi di utilizzo di questo strumento sono soprattutto due. O assistiamo a una vicenda interamente vissuta in flashback, in cui solo l’inizio e la fine della storia, vissuti nel presente, fanno da cornice alla vera vicenda che viene raccontata (nel mondo del western pensiamo a film come L’uomo che uccise Liberty Valance o Il piccolo grande uomo, in cui il contesto “contemporaneo” è quello di un giornalista che raccoglie dal personaggio di turno le memorie delle vicende per come sono realmente accadute). E in tal caso forse non sarebbe neanche giusto parlare di flashback per come lo intendiamo comunemente, in quanto la forzatura è più il collocare i fatti del presente, laddove il vero cuore pulsante della storia è solo ed esclusivamente nel passato. In realtà, in questo tipo di situazione, nel presente non succede pressoché nulla, non c’è vera “trama”, ma solo personaggi statici e invecchiati che narrano di vicende passate.
Oppure lo strumento deve essere dosato in piccole quantità, sia come lunghezza che come ripetizioni: questo al duplice scopo di non far diventare lo strumento in sé il fattore determinante, tanto da sovrastare gli stessi fatti che si raccontano, e di non creare un’eccessiva confusione in chi assiste come spettatore o lettore alla narrazione.
L’introduzione di elementi, personaggi o fatti del passato serve a dare spessore ai protagonisti del presente, alle loro azioni e alle loro scelte. Ma soprattutto esso deve essere funzionale a quell’esigenza di sapere, di capire, di conoscere da parte di chi si trova a scoprire passo passo una determinata vicenda. Quindi non un escamotage da parte di chi scrive la vicenda per confondere le acque, ma più uno strumento a disposizione del lettore. Corrisponde, in sostanza, a quel momento in cui un lettore, non essendo sicuro di aver compreso bene un determinato passaggio, tornerebbe indietro di qualche pagina per recuperare il momento della vicenda che gli consenta di interpretare i fatti. Se quel momento non fa parte di quanto già raccontato dall’autore, questi deve consentire a quel punto al lettore di recuperare quella determinata pagina, andandola a ripescare nelle vicende precedenti a quelle dell’inizio del racconto.
Chiaramente, il flashback può anche essere utilizzato da chi scrive proprio per spiazzare il lettore, magari per fargli capire che tutto quello che aveva compreso fino a quel momento va rivisto sotto una luce completamente diversa in virtù di quanto in realtà avvenuto in precedenza. Chi scrive - oppure magari, per finzione, il protagonista che racconta la vicenda - ne sa più del lettore e approfitta di quel momento di sospensione del pathos contemporaneo per scombinare o riassestare gli elementi a conoscenza di chi legge. Questa modalità di sicuro è più utilizzabile per vicende tipo thriller, o gialli.
Basti ad esempio pensare alle storie di Sherlock Holmes, in cui il recuperare le sensazioni pregresse (anche dei semplici ricordi legati all’osservazione) consente al protagonista, e con lui al lettore, di portare avanti la propria indagine.
Volendolo vedere come uno strumento a disposizione anche del lettore, esso diventa effettivamente proprio un interruttore che consente di regolare la velocità della storia e quindi della sua fruizione. Perché poi ognuno può sospendere il racconto, elaborare i fatti e proseguire con una cognizione maggiore.
Immaginando di avere per le mani un albo a fumetti, sarebbe come se, sfogliandolo all’indietro, cominciassero a disegnarsi sotto gli occhi del lettore le vignette che ritraggono a ritroso i fatti già avvenuti, in un racconto che, in avanti o all’indietro, non avesse mai fine…


postato il 7/12/2018 alle ore 0:11

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