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Noi,... di famiglia Bonelli

di Stefano Bidetti

La casa editrice facente capo alla famiglia Bonelli, che nel corso dei decenni ha cambiato tanti nomi, a volte anche utilizzando contemporaneamente marchi diversi, ha rappresentato nella storia del fumetto in Italia di certo qualcosa di fondamentale, e ancora oggi costituisce un asse portante, cui guardano con stima e affidamento decine e decine di autori e centinaia di migliaia di lettori di fumetti. Di sicuro, sin dagli albori del primo dopoguerra, la casa editrice (all’epoca Editrice Audace) lasciata da Gianlugi Bonelli nelle mani di quella che era già la sua ex moglie Tea Bertasi aveva iniziato una produzione fumettistica destinata in poco tempo a conquistare ampie fette di mercato. Nel corso degli anni la denominazione dell’impresa cambierà più volte, in Edizioni Araldo nel 1957, in Cepim nel 1969, in Daim Press nel 1974 e infine in Sergio Bonelli Editore nel 1988; nel frattempo fioriranno anche altre denominazioni, come Altamira (1976) e L’Isola Trovata (1982) utilizzate per alcune pubblicazioni particolari. Ma quello che rimane costante nel tempo, grazie alla forte collaborazione iniziale tra madre (Tea) e figlio (Sergio Bonelli), sarà la connotazione, la tipologia e la qualità del fumetto proposto. Negli anni si conferma una capacità di fidelizzazione del lettore che va anche al di là del buon prodotto realizzato, perché a presiedere alla produzione della casa editrice vi è soprattutto una componente etica – da non confondere con morale – che conquista i suoi lettori. Ciascuno di coloro che per anni acquisteranno e leggeranno avidamente Tex piuttosto che Zagor, Dylan Dog o il più recente Morgan Lost, ma anche i lettori di quei personaggi che, per forza di cose, hanno visto esaurita la propria pur meravigliosa parabola (come il comandante Mark, il Piccolo Ranger, Mister No, Nick Raider, Magico Vento e così via fino all’irrequieto e indomabile Ken Parker) hanno avuto la possibilità incredibile, anche solo attraverso quelle pagine o quelle della posta - in periodi in cui non esistevano Internet e social network - di stabilire un contatto diretto con chi lavorava dietro quelle scrivanie. Pur essendo giustamente e motivatamente mossa da input imprenditoriali, e quindi commerciali, la Bonelli ha avuto la capacità di affermare dei valori e uno spirito in grado poi di trasferirsi nei suoi lettori. Questo ha fatto sì che, inevitabilmente, ciascuno di questi abbia finito per sentirsi parte integrante, quasi un’appendice familiare, un ospite pronto a sedersi alla stessa tavola per condividere un momento conviviale.
La SBE, come ora viene sinteticamente chiamata, è quindi diventata un’enorme famiglia, formando lettori anche critici, cioè di sicuro mai obnubilati e assuefatti, ma comunque fiduciosi. Ciascuno di noi, almeno di coloro che sono letteralmente «cresciuti a pane e Bonelli», si sente alla fine parte di questa famiglia. Il merito dell’impresa Bonelli nel tempo non è stato quindi solo quello di produrre ottime testate, anche quando non era necessario inseguire smodatamente fenomeni contemporanei (come sembra ineluttabile oggi per un mondo che comincia ad avere paura di scomparire), ma anche e soprattutto quello di aver formato ed educato al fumetto questo tipo di lettori: attenti, appassionati, mai solo passivi, ma in fondo comunque pronti ad acquistare e leggere una nuova testata della casa editrice milanese.
È difficile dire ora cosa potrà succedere in futuro. Non tanto perché della famiglia è scomparso colui che maggiormente, nei primi tempi insieme alla madre, ha contribuito a far crescere la Bonelli proprio secondo quelle linee direttrici, cioè Sergio Bonelli; quanto piuttosto perché sembra sempre più difficile per gli imprenditori del fumetto interpretare le nuove correnti ed esigenze di un pubblico che forse non sa bene ciò che vuole. E il confronto tra chi non sa cosa desiderare e chi invece aspetta di capire cosa il pubblico vuole di certo rischia di condurre in un vicolo cieco. Ma i bonelliani, quelli autentici, quelli della vecchia guardia, per intenderci quelli “di famiglia”, restano in trincea, con l’elmetto calato sugli occhi, se necessario, pronti a commentare, a criticare, ma poi sempre a leggere un nuovo albo e a meravigliarsi ancora delle proposte della “fabbrica dei sogni”.


postato il 2/10/2019 alle ore 0:16

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